sabato, Giugno 10, 2023

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Tenere la mano durante il parto fa diminuire il dolore: lo studio

Tenere la mano durante il parto è un potente antidolorifico. E’ uno studio a confermare che, dare la mano alla mamma nel momento in cui partorisce, non dona solo sollievo, ma aiuta a sopportare fisicamente il travaglio.

Lo studio: tenere la mano durante il parto fa passare il dolore

Ad analizzare questo fenomeno sono stati alcuni ricercatori dell’Università di Haifa, in Israele, dell‘Università del Colorado di Boulder e dell’Università Parigi Diderot coordinati dal professor Pavel Goldstein che hanno condotto alcuni esperimenti su venti coppie di età compresa tra 23 e 32 anni che stavano insieme da almeno un anno.

Durante lo studio le donne dovevano stringere un tubo bollente nel quale veniva fatta passare dell’acqua calda di diverse temperature, in modo da provocare una sensazione di dolore di crescente intensità mentre gli uomini, invece, vivevano diverse situazioni: dovevano stringere la mano delle loro compagne, essere presenti in una stanza vicina oppure restare nella stessa camera ma senza avere alcun contatto fisico.

Tenere la mano durante il parto: cosa accade alla mamma

Secondo quanto pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences, è emerso chiaramente che le donne provavano meno dolore quando i loro compagni le tenevano per mano e al tempo stesso gli uomini riuscivano quasi a percepire la sofferenza della propria compagna, grazie ad una sorta di allineamento cerebrale. Nelle coppie che avevano elettroencefalografie (delle registrazioni dell’attività elettrica dell’encefalo) simili, le donne provavano un dolore ancora minore rispetto alle altre. Una dimostrazione di quanto l’affiatamento e il legame di coppia possa amplificare l’effetto analgesico del contatto.

Si tratta di un fenomeno non ancora del tutto conosciuto. Fatto sta che i ricercatori spiegano che il collegamento tra cervelli può condurre a provare meno dolore. Infatti da un lato, il contatto con il partner favorirebbe il rilascio di sostanze analgesiche naturali nel cervello (neurotrasmettitori) di chi soffre e, dall’altro, renderebbe possibile una sorta di ‘sincronizzazione cerebrale’ che stimolerebbe l’empatia nell’osservatore e riuscirebbe a rendere il dolore più sopportabile per chi lo prova.

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